FAQ – Domande più frequenti

Domande generali

La persona va sempre considerata con grande rispetto, individualmente e quando si forma una unione , qualsiasi sia il modello prescelto. La vita di coppia è cambiata e continua a cambiare profondamente. Se funziona è perché è fonte di soddisfazione reciproca . Se fallisce al dolore per la separazione si sommano aspetti pratici molteplici che vanno considerati e trattati con adeguato e analitico riguardo.

Ogni caso è un caso a sé. Per prima cosa vanno conosciuti i propri diritti e possibilità reali esaminando analiticamente caso per caso e studiando al meglio la gestione di essi. Nonché i doveri scaturenti dalla fine di un rapporto di coppia.

La separazione consiste in un allentamento del vincolo coniugale: viene meno l’obbligo di coabitazione, ma permane il dovere di fedeltà (sia pure inteso in senso lato come “rispetto” dell’altro coniuge) e di assistenza materiale. Il divorzio consiste invece nello scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale.

Certamente, lavoriamo con clienti in tutta Italia.

Sì. Potete prendere appuntamento utilizzando i nostri contatti.

Certo, una volta ricevuto l’incarico, se avete bisogno di un parere legale o non avete la possibilità di venire in Studio, possiamo sentirci telefonicamente o via Skype.

Tuttavia tenete presente che, in assenza di un incontro iniziale presso le nostre sedi di Roma o Milano, non forniamo pareri legali.

No. Dopo un primo incontro presso la nostra sede di Roma o Milano, avremo la possibilità di valutare un preventivo mirato rispetto alle vostre esigenze.

Il rapporto tra cliente e avvocato presuppone fiducia e condivisione di strategie e obiettivi. Capita talvolta che la sintonia venga meno per i più svariati motivi e quindi sia necessario valutare l’opportunità di affiancare o sostituire nella difesa dei propri interessi un altro Studio legale.

La risposta alla domanda non può essere sì o no, ma piuttosto che siamo disponibili a valutare caso per caso dopo un incontro iniziale presso presso le nostre sedi di Roma o Milano.

E’ davvero difficile se non impossibile determinare la parcella necessaria per un iter processuale o extragiudiziale. Le situazioni concrete, la tipologia di causa e gli attori in gioco possono influenzare in modo notevole questa valutazione.

Consigliamo un primo contatto per avere un parere preliminare, indicandoci in fase di appuntamento quali documenti è opportuno portare o inviare prima dell’incontro, in modo da avere già parte degli elementi su cui si baserà il nostro parere.

Negoziazione assistita

La negoziazione assistita rende possibile separarsi o divorziare in tempi brevi, senza recarsi nemmeno una volta in Tribunale.

I coniugi che intendono procedere speditamente e che non intendano comparire davanti a un Giudice possono avvalersi del procedimento di negoziazione assistita rivolgendosi direttamente all’ avvocato.

Come si procede?

La negoziazione assistita prevede l’assistenza di due legali, uno per coniuge, i quali si occuperanno della stesura dell’accordo tra le parti e di tutte le successive incombenze amministrative:

  1. nel caso in cui non vi siano figli, l’accordo raggiunto è sottoposto al vaglio del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente, il quale rilascia il nulla osta;
  2. quando vi sono figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, il Procuratore della Repubblica autorizza l’accordo, solo se rispondente all’interesse dei figli;
  1. una volta ottenuto il nulla osta o l’autorizzazione l’avvocato, di una delle parti, trasmette l’accordo, all’Ufficiale di Stato Civile del Comune competente, per le conseguenti operazioni amministrative.

Il rilascio del nulla osta o dell’autorizzazione per procedere alla separazione o al divorzio, può avvenire nel giro di pochi giorni.

La separazione o il divorzio acquisiscono efficacia dal giorno della sottoscrizione dell’accordo nello studio dall’avvocato.

Solitamente da un minimo di 1 mese a un massimo di 3 mesi. Secondo la nostra esperienza nell’arco di qualche settimana è possibile raggiungere l’accordo.

Dopo sei mesi dalla sottoscrizione della negoziazione assistita sarà possibile procedere con il divorzio.

La negoziazione assistita riduce di molto le tempistiche rispetto ai procedimenti di separazione consensuale e permette ai coniugi di portare a compimento l’iter di separazione o divorzio recandosi unicamente presso lo studio dell’ avvocato, senza lo stress di comparire davanti a un Giudice.

Le parti possono impegnarsi ad effettuare trasferimenti immobiliari, tra coniugi o verso i figli, usufruendo della totale esenzione fiscale prevista dalla legge.

No, è obbligatoria l’assistenza di due avvocati, uno per coniuge.

In tal caso, si procederà con un procedimento per separazione o divorzio giudiziale.

Separazione consensuale

La separazione consensuale è lo strumento con il quale i coniugi, di comune accordo tra loro, decidono di separarsi.

È un procedimento a cui si ricorre quando i coniugi sono d’accordo sia nel richiedere la separazione, sia sulle questioni relative a:

  • l’affidamento e la dimora abituale dei figli
  • il diritto di visita del genitore col quale i figli non coabitano
  • l’assegnazione della casa coniugale
  • il contributo al mantenimento dei figli
  • il contributo al mantenimento del coniuge economicamente più debole
  • le altre eventuali questioni economiche e patrimoniali della famiglia.

La domanda si propone con ricorso di entrambi i coniugi.
Il Presidente del Tribunale fissa con decreto il giorno della data di comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione.
All’udienza di comparizione il Presidente deve sentire i coniugi tentando la conciliazione.
Se quest’ultima riesce il Presidente fa redigere il verbale di conciliazione; se non riesce fa verbalizzare la volontà dei coniugi di separarsi e le condizioni relative ai coniugi e alla prole.
Esaurita la fase presidenziale, il tribunale decide in merito all’omologazione in camera di consiglio. Ottenuto il parere del Pubblico Ministero, se ritiene le condizioni concordate dai coniugi legittime e conformi all’interesse dei figli, emette il decreto di omologazione, che ha efficacia di titolo esecutivo e deve essere annotato in calce all’atto di matrimonio dall’ufficiale di stato civile.

Separazione giudiziale

La separazione giudiziale è un procedimento con il quale uno solo dei coniugi, o ciascuno di essi con proprio ricorso autonomo, chiede al Tribunale di pronunciare una sentenza di separazione che regoli i loro rapporti, dato che è cessata la convivenza tra loro.
La separazione giudiziale si distingue da quella consensuale perché in quest’ultima i coniugi sono d’accordo sia nel richiedere al Tribunale la separazione, sia su come regolare i loro rapporti circa l’affidamento dei figli, l’assegnazione della casa coniugale e le questioni economiche e patrimoniali.

È un procedimento volto a regolare i rapporti relativi alla separazione:

  • l’addebito
  • l’affidamento dei figli
  • la dimora abituale dei figli
  • il diritto di visita del genitore col quale i figli non coabitano
  • l’assegnazione della casa coniugale
  • il contributo al mantenimento dei figli
  • il contributo al mantenimento del coniuge economicamente più debole.

Nel caso in cui la crisi familiare sia da ricondurre a comportamenti contrari ai doveri che derivano dal matrimonio da parte di uno dei coniugi, il giudice, se gli viene richiesto, può dichiarare nella sentenza a chi sia addebitabile la separazione. La pronuncia di addebito comporta degli effetti di ordine patrimoniale ed economico.

In particolare, al coniuge che sia dichiarato responsabile della separazione:

  • non può essere attribuito l’assegno di mantenimento ma, se ricorrono i presupposti, gli può solo essere riconosciuto il diritto agli alimenti;
  • vengono limitati i suoi diritti successori nei confronti del patrimonio dell’altro coniuge.

La domanda di separazione si propone con ricorso che deve contenere l’esposizione dei fatti sui quali si fonda la domanda, la dichiarazione sull’esistenza di prole e devono essere allegate le dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni dei due coniugi.
Il Presidente del Tribunale accoglie il ricorso e fissa con decreto la data dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé, il termine per la notificazione del ricorso a cura del coniuge che l’ha promosso e del decreto al coniuge convenuto, e il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare la memoria difensiva e i documenti.

Fase presidenziale

L’udienza di comparizione si svolge davanti al Presidente del Tribunale e devono comparire obbligatoriamente e personalmente i coniugi con l’assistenza dei rispettivi legali. Se entrambi i coniugi compaiono all’udienza, il Presidente tenta la conciliazione cercando di far desistere le parti dal separarsi: se si accordano e si riconciliano viene redatto processo verbale e la causa si estingue.

Provvedimenti provvisori

Se la conciliazione non riesce, il Presidente dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei figli (affidamento) e dei coniugi (assegnazione dell’abitazione e mantenimento del coniuge). Nomina il giudice istruttore, fissa il giorno in cui si terrà l’udienza davanti allo stesso giudice istruttore, e fissa il termine entro il quale il coniuge convenuto si deve costituire se non lo ha già fatto partecipando all’udienza di comparizione.

Fase di merito davanti al Giudice Istruttore

La seconda fase si svolge davanti al Giudice Istruttore ed è simile a un processo ordinario con la differenza che il giudice non può tentare nuovamente la riconciliazione e può assumere d’ufficio nuove prove relative alla prole.
Il giudizio si conclude con una sentenza di separazione emessa dal Tribunale.

Divorzio

Si, la separazione consiste in un allentamento del vincolo coniugale: viene meno l’obbligo di coabitazione, ma permane il dovere di fedeltà (sia pure inteso in senso lato come “rispetto” dell’altro coniuge) e di assistenza materiale.

Il divorzio consiste invece nello scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale.

l divorzio può essere chiesto da entrambi i coniugi concordemente o da un solo coniuge in contrasto con l’altro (divorzio giudiziale).

Oltre all’impossibilità di mantenere o ricostruire la comunione spirituale e materiale tra i coniugi, deve sussistere almeno uno dei presupposti tassativi previsti dalla Legge sul Divorzio (6 mesi o 1 anno).

In sede giudiziale, la domanda di divorzio deve essere proposta al Tribunale competente con l’assistenza di un avvocato. Se il divorzio è giudiziale (ossia in contenzioso), la domanda può essere proposta da un solo coniuge. Se entrambi i coniugi sono d’accordo, la domanda può essere congiunta.
La richiesta di divorzio può essere presentata quando sussiste uno dei casi previsti in via tassativa dalla Legge sul Divorzio e presuppone in ogni caso l’impossibilità di mantenere o ricostituire la comunione spirituale o materiale fra i coniugi.
Alla domanda di divorzio devono essere allegati:

  • le dichiarazioni dei redditi dei coniugi relative agli ultimi 3 anni
  • l’estratto per riassunto dell’atto di matrimonio
  • il certificato di stato di famiglia e di residenza
  • nel caso in cui il presupposto del divorzio sia la separazione, copia autentica del provvedimento conclusivo del procedimento di separazione (decreto di omologa o sentenza).

Fase presidenziale

Il presidente del Tribunale fissa con decreto la data dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé, la data entro la quale il ricorso e il decreto devono essere comunicati all’altro coniuge, e la data entro la quale l’eventuale memoria di costituzione e risposta dell’altro coniuge deve essere depositata in Tribunale. All’udienza di comparizione tenta di conciliare parti. Se la conciliazione non riesce designa il Giudice Istruttore e fissa la data della nuova udienza di fonte a quest’ultimo.
Può emettere ordinanza contenente provvedimenti  provvisori e urgenti.

Fase di merito davanti al Giudice Istruttore

Il Giudice Istruttore dà eventualmente avvio a un’istruttoria per stabilire l’importo dell’assegno di mantenimento e il processo prosegue sulla falsariga di un processo civile ordinario.
Il giudizio si conclude con una sentenza impugnabile in appello.
Le condizioni di divorzio possono essere modificate o revocate.

Il presidente del Tribunale fissa con decreto la data dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti al Tribunale in camera di consiglio.

Il Tribunale durante l’udienza di comparizione tenta di conciliare parti. Se la conciliazione non riesce, il Tribunale pronuncia la sentenza di divorzio in camera di consiglio.

Le condizioni di divorzio possono essere modificate o revocate.

Coppie di fatto ed unioni civili

Le coppie di fatto sono formate da due persone che decidono di convivere senza sposarsi.

La “coppia di fatto” è il termine con il quale si suole indicare la coppia costituita da due soggetti legati sentimentalmente, dello stesso sesso o meno, ma che hanno scelto di non formalizzare il loro rapporto con un matrimonio o un’unione civile.
I conviventi possono registrarsi all’anagrafe per ottenere lo stato di famiglia e firmare i contratti di convivenza.

L’Unione Civile è il termine con cui nell’ordinamento italiano si indica l’istituto giuridico di diritto pubblico comportante il riconoscimento giuridico della coppia formata da persone dello stesso sesso, finalizzato a stabilirne diritti e doveri reciproci. Tale istituto estende alle coppie omosessuali gran parte dei diritti e dei doveri previsti per il matrimonio, incidendo sullo stato civile della persona.

Diritti e doveri delle Coppie di Fatto e delle Unioni Civili non hanno:

  • Fedeltà
  • Mantenimento
  • Eredità e comunione dei beni
  • Reversibilità
  • Tutela del patrimonio immobiliare
  • Impresa familiare

I diritti che hanno le coppie di fatto

  • Possesso dell’abitazione
  • Maltrattamenti in famiglia
  • Affidamento dei figli
  • Risarcimento del danno
  • Violazione degli obblighi familiari
  • Extracomunitari e permesso di soggiorno

E più in particolare :

  • la possibilità di visitare il partner in carcere;
  • la possibilità di visita, assistenza, accesso alle informazioni personali del partner in caso di malattia o ricovero;
  • la possibilità per ciascun componente della coppia di designare l’altro come legittimo rappresentante con poteri pieni in caso di malattia o morte; il diritto del convivente superstite di continuare ad abitare nella nella casa per un periodo non superiore a 5 anni anche dopo la morte del partner che era il proprietario dell’immobile;
  • la possibilità di nominare il convivente come tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora il partner venga dichiarato interdetto, inabilitato o beneficiario dell’amministrazione di sostegno;
  • il diritto al risarcimento del danno in caso di decesso del convivente di fatto derivante da una condotta illecita di un terzo;
  • il diritto di partecipare alla gestione e agli utili dell’impresa familiare del partner;
  • il diritto del convivente – stabilito dal giudice in caso di cessazione della convivenza di fatto – di ricevere gli alimenti, se si trova in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. L’importo dell’assegno viene stabilito in misura proporzionale alla durata della convivenza

Infedeltà e risarcimento del danno

Qualora il coniuge abbia violato gli obblighi nascenti dal matrimonio (es. l’obbligo di fedeltà, l’obbligo di coabitazione, l’obbligo di assistenza morale e materiale) è possibile chiedere un risarcimento per il danno subito.

Tuttavia per ottenere il risarcimento non è sufficiente che vi sia stata la violazione dei doveri che derivano dal matrimonio, ma è altresì necessario che l’inadempienza abbia determinato una lesione di diritti costituzionalmente garantiti, quali ad esempio il diritto alla salute, alla privacy, ai rapporti relazionali.

Ad esempio qualora il marito intraprenda una relazione extraconiugale, senza nascondere il suo comportamento fedifrago ma anzi rendendolo noto alla cerchia di persone frequentate dalla coppia, la moglie ha diritto al risarcimento del danno, essendo leso il suo diritto all’integrità morale.

Vi è violazione dell’obbligo di fedeltà non solo quando il coniuge tradisca con un soggetto di sesso diverso, ma altresì in caso di tradimento con persone dello stesso sesso.

Anche qui, tuttavia, ai fini del risarcimento, sarà necessario indagare sulle modalità con cui il coniuge ha intrattenuto la relazione per verificare se vi sia stata una lesione dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione.

Certamente.  È possibile, anche se i coniugi hanno scelto la separazione consensuale, richiedere il risarcimento del danno subito a causa delle condotte in violazione dei doveri nascenti dal matrimonio.

Secondo l’attuale impostazione data dei Tribunali italiani, non è possibile ottenere dall’amante del proprio coniuge un risarcimento del danno per averlo “indotto” al tradimento posto che nel nostro ordinamento non esiste un generale dovere di astensione da ogni interferenza nella famiglia da parte degli altri.

Affidamento dei figli

L’affidamento dei figli definisce la ripartizione della responsabilità genitoriale sui figli minorenni in situazioni di non convivenza, causata dalla separazione dei genitori.

È il provvedimento con il quale il giudice, nel pronunciare la separazione, stabilisce a quale dei due coniugi debbano essere affidati i figli: come deve essere ripartita ed esercitata la responsabilità genitoriale su di essi, con esclusivo riferimento al loro interesse morale e materiale, indipendentemente dall’esito di un eventuale giudizio di addebitabilità della separazione.

Con la riforma del 2006 si è sancito il principio della bi-genitorialità, che consiste nel diritto dei figli di continuare a mantenere con entrambi i genitori rapporti equilibrati anche dopo la cessazione della convivenza.

A ogni figlio deve essere assicurato il diritto a intrattenere un rapporto completo con entrambi i genitori – a prescindere da quali siano i rapporti personali fra gli stessi.
La regola generale è quella dell’affidamento condiviso dei minori a entrambi i genitori, mentre l’affidamento esclusivo è l’eccezione che deve essere giustificata da validi e comprovati motivi.

L’affidamento esclusivo dei figli a uno solo dei genitori può essere disposto nei seguenti casi:

  • quando entrambi i genitori espressamente lo richiedono
  • nel caso in cui il Giudice ritenga che l’affidamento all’altro genitore sia contrario all’interesse del minore. In questo caso devono essere allegate e provate serie ragioni di pregiudizio per il minore stesso.

Il genitore, a cui sono affidati i figli, esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale a meno che non ci siano disposizioni di tipo diverso, ma le decisioni di maggior interesse sono generalmente prese di comune accordo tra i coniugi.
Il genitore, a cui i figli non sono affidati, ha il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice se ritiene che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.  Non sono considerati validi motivi per l’affidamento a un solo genitore:

  • il conflitto tra i genitori, se essi singolarmente non si comportano in modo contrario all’interesse del minore
  • la lontananza fisica dei due genitori
  • la tenera età del minore.

La legge n. 54 del 2006 ha posto come regola fondamentale l’affidamento condiviso dei figli di coppie separate.

Il principio su cui si fonda è che, anche in caso di separazione, i figli hanno diritto di conservare un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, di ricevere da entrambi cura, educazione e istruzione e di conservare rapporti con gli ascendenti (es: i nonni) e i parenti.

Il giudice, quando dispone l’affidamento condiviso, provvede anche sulla residenza dei figli: generalmente viene precisato presso quale dei genitori la prole deve vivere abitualmente.

Sottrazione internazionale di minori

Quando uno dei genitori decide volontariamente, unilateralmente e senza il consenso dell’altro, di sottrarre il figlio con l’intenzione di nasconderlo all’estero e di tenerlo con sé in modo permanente, si ha la sottrazione internazionale di minore.
Si verifica la sottrazione internazionale di minori anche quando viene impedito al minore il rientro nell’abituale stato di residenza dopo un trasferimento avvenuto per causa legittima come nel caso di una vacanza, un soggiorno presso i nonni, terminato il quale il genitore che ha portato con sé il figlio non lo fa rientrare nel paese di residenza abituale.
La sottrazione internazionale di minore comporta per il bambino non solo il terribile distacco da una delle due figure genitoriali, ma anche l’abbandono del più ampio contesto di vita nel quale il bambino era inserito.

La Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con la legge 27 maggio 1991 n. 176, stabilisce che il minore ha diritto a mantenere una stabile relazione con entrambi i genitori. L’art. 9 della Convenzione stabilisce il diritto del fanciullo, separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambe le figure genitoriali, a meno che ciò non sia contrario all’interesse del fanciullo stesso. Detto principio, è stato ripreso nell’ordinamento italiano, dalla legge 54/2006 e anche la Corte di Cassazione ha precisato più volte che ciò che più rileva è l’interesse del minore a non essere arbitrariamente sottratto al suo ambiente di vita.

Il genitore, anche qualora legittimo affidatario del minore, non può arbitrariamente privare il figlio dell’altra figura genitoriale di riferimento ma ha anzi l’obbligo di educare e sensibilizzare il minore ad avere un rapporto continuativo con l’altro genitore. Il trasferimento del minore dall’ambiente nel quale è cresciuto e ha sempre vissuto, dove ha costruito il centro dei suoi affetti e interessi e i primi importanti punti di riferimento nella delicata fase della crescita e della formazione della personalità, è un vero e proprio atto di violenza, suscettibile di arrecare grave pregiudizio al benessere psico-fisico del bambino. Nei casi di sottrazione, come in tutte le decisioni relative ai fanciulli, deve pertanto essere tutelato in via preminente il superiore interesse del minore a coltivare un rapporto costante e paritetico con entrambi i genitori e a conservare l’ambiente in cui il minore si é integrato e coltiva le relazioni più significative.

Certo, la procedura d’urgenza si applica ad ogni minore che abbia la propria residenza abituale in uno Stato Contraente e non abbia compito il 16° anno di età.

Lo scopo è quello di garantire una protezione tempestiva ed efficace del minore, agendo con immediatezza sia per contenere il danno arrecato al minore sia per evitare che il minore si integri nello Stato e nell’ambiente in cui si trova a seguito della sottrazione, rendendo più traumatico o addirittura inopportuno il ritorno del minore nel paese di residenza abituale. La procedura d’urgenza è finalizzata ad assicurare l’immediato rientro del minore nel suo Stato di residenza abituale.

Per espressa previsione di legge l’autorità deve agire con la massima celerità, avvalendosi delle procedure d’urgenza previste dall’ordinamento giuridico dello Stato richiesto e il provvedimento di ritorno deve essere emesso al più tardi entro il termine di sei settimane dal ricevimento dell’istanza di rimpatrio. Il termine di sei settimane può essere superato solo in presenza di circostanze eccezionali, esplicitate e motivate, che ne rendano impossibile l’osservanza.

Presupposti per la procedura sono l’illiceità del trasferimento o del mancato rientro.
Il trasferimento o il mancato rientro devono essere avvenuti in violazione di un diritto di affidamento, esercitato di fatto dal genitore che ha subito la sottrazione e a questi attribuito dalla legislazione o da una decisione giudiziaria o amministrativa dello Stato ove il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima della sottrazione.

Una volta presentata l’istanza di rientro, o per il tramite dell’Autorità Centrale, o in via diretta ex art. 29 Conv. Aja, la competenza a trattare della medesima spetta alle autorità dello Stato ove il minore è stato trasferito o trattenuto.
L’art. 12 della Convenzione stabilisce che, se l’istanza di rimpatrio viene presentata prima del decorso di un anno dal trasferimento o mancato ritorno del minore nello Stato di residenza abituale, l’autorità giudiziaria di fronte alla quale pende il procedimento di rimpatrio, accertata l’esistenza dei presupposti per l’applicazione della procedura convenzionale e, in primis, l’illiceità del trasferimento/trattenimento, ha l’obbligo di ordinare l’immediato ritorno del minore.

Eredità e successioni

È possibile disporre, tramite testamento, del proprio patrimonio per il periodo successivo alla propria morte: in questo caso si parla di successione testamentaria.  Se non si fa testamento la legge, alla morte di una persona, individua gli eredi e le quote di spettanza dell’eredità.  Ci sono eredi che non possono essere esclusi dalla successione: il coniuge e i figli.

Per lasciare il proprio patrimonio a persone diverse o in misura diversa da quella decisa dalla legge, è necessario fare testamento.

Il testamento è l’atto con il quale una persona dispone delle proprie sostanze per il periodo in cui avrà cessato di vivere. Per essere valido ed efficace deve avere le forme previste per legge, che servono ad assicurare la provenienza delle dichiarazioni in esso contenute.

All’interno del testamento si possono prevedere attribuzioni patrimoniali non soltanto ai legittimari (coniuge, i figli e gli ascendenti), ma anche ad altri, utilizzando la cosiddetta “quota disponibile” del proprio patrimonio.

Il testamento ha inoltre il vantaggio di poter contenere anche alcune disposizioni a carattere non patrimoniale, ad esempio l’istituzione di una fondazione, il riconoscimento di un figlio naturale, la designazione di un amministratore di sostegno, ecc.

Sì, il coniuge separato ha gli stessi diritti successori del coniuge non separato, a meno che non gli sia stata addebitata la separazione.

Il coniuge divorziato non gode dei diritti successori previsti per il coniuge separato, proprio perché il divorzio scioglie definitivamente il vincolo matrimoniale.